L’economia dell’Eurozona ha bisogno di un addetto stampa migliore

Mettendo a confronto le reazioni sugli USA, la crescita di Regno Unito ed Eurozona mostra un sentiment ancora debole nei confronti dell’Europa.

Aprite le orecchie, fan dei dati! Sono stati pubblicati i dati sul PIL delle prime tre più grandi economie del mondo. Dal peggiore al migliore, gli USA segnano una crescita dello 0,7% annuo, il Regno Unito dell’1,2% e l’eurozona dell’1,8%.[i] Ci parrebbe giusto che gli investitori festeggiassero in proporzione rispetto a quanto ogni regione è....come dire … cresciuta. E invece le percezioni sono volubili e il Regno Unito è la regione dove si festeggia meno. L’Eurozona ha mostrato un po’ più di ottimismo, pur senza esclamazioni sulla falsa riga di “crescita più rapida, evvivaaa!” In America gli opinionisti hanno sicuramente notato il rallentamento, ma la maggior parte dei media si è affrettata a ignorarlo come un capriccio stagionale. Questo è solo l'ultimo segnale che il sentiment è più favorevole nei confronti delle azioni USA rispetto a quelle non USA, che si trovano quindi a dover scalare un “wall of worry” ancora più alto. Poiché fuori dagli Stati Uniti la realtà continua a superare le aspettative, le azioni non USA dovrebbero comportarsi bene.

La scorsa settimana il presidente di Fisher Investments Europe Ken Fisher ha lanciato un divertente sondaggio su Twitter in cui chiedeva ai suoi follower quante volte era successo che gli USA crescessero più rapidamente di Regno Unito ed Eurozona negli ultimi 16 trimestri. Oltre la metà dei partecipanti ha detto che gli USA erano cresciuti più rapidamente in almeno 12 dei 16 trimestri. U-S-A! U-S-A! Eppure, la risposta giusta, che ha azzeccato solo il 25% dei follower, è pari a sette. Proprio così, negli ultimi 16 trimestri fino al 1° trimestre, gli USA sono stati in testa per meno di metà delle volte.

Ma allora perché questo scostamento tra percezione e realtà? Possiamo provare a indovinare: Gli investitori, per distrazione, non fanno un confronto equivalente. Regno Unito, Eurozona e molte altre nazioni riferiscono la crescita del PIL trimestre su trimestre, calcolano il totale di tutti i risultati del 1° trimestre e calcolano la differenza percentuale tra questo dato e quello totale del 4° trimestre. (Essi inoltre pubblicano i dati sulla crescita anno su anno—la differenza percentuale tra la produzione del 1° trimestre 2017 e il totale del 1° trimestre 2016.) Ma USA, Giappone e un paio di altri paesi riferiscono dati di PIL annuali: sommano tutta la produzione del 1° trimestre, fanno una serie di aggiustamenti stagionali e poi moltiplicano per quattro per mostrare come sarà il PIL annuo e se si manterrà lo stesso ritmo.[ii] Il cambiamento percentuale tra il PIL annuo destagionalizzato per il 1° trimestre 2017 e quello del 4° trimestre equivale al tasso di crescita annuo destagionalizzato.

I media logicamente usano i dati forniti dagli uffici nazionali di statistica, quindi molti dei commenti sul PIL britannico si basavano sulla crescita dello 0,3% del 1° trimestre invece che sul dato annuo dell’1,2%, mentre i media nell’eurozona si sono concentrati sulla crescita dello 0,5% trimestre su trimestre del blocco. Ecco perché, agli occhi del lettore occasionale non esperto di economia, la relativa forza dell’economia USA potrebbe sembrare esagerata e creare l’impressione di una crescita al di fuori dagli Stati Uniti continuamente inferiore. Ecco quello che vede la gente, in realtà:

Grafico 1: I cambiamenti del PIL annuo diminuiscono ad ogni trimestre
I cambiamenti del PIL annuo diminuiscono ad ogni trimestre – Fisher Investments Italia

Fonti: Office for National Statistics, Eurostat e Bureau of Economic Analysis, tutti al 5/4/2017. T1 2009 – T1 2017.

Tuttavia, se analizzassimo dati simili annuali per tutte e tre le economie vedremmo frequenti cambiamenti di leadership, specie negli ultimi trimestri e nessun ampio divario tra un’economia e le altre.

Grafico 2: Non c’è poi molta differenza
Non c’è poi molta differenza – Fisher Investments Italia

Fonte: FactSet, al 05/03/2017. Tassi di crescita del PIL annuale per USA, Regno Unito ed Eurozona, T2 2013 – T1 2017.

Anche laa storia recente influenza la copertura mediatica su entrambe le sponde dell’Atlantico. L’Europa ha subito una crisi globale nel 2008, per poi vivere un mercato regionale orso e una recessione nel 2011 – 2013, con la crisi dei titoli di stato che ha scatenato timori di disgregamento dell’unione monetaria. Sono passati quasi dieci anni e continua la solfa di una “Europa fragile”: I media temono ancora i problemi di debito dell’Eurozona e le minacce populiste al blocco monetario. E infatti, la parola “ripresa” continua a dominare i titoli degli articoli sulla crescita economica della regione, anche se tecnicamente il termine non è più accurato dal 2015 (da quando cioè il PIL ha superato il suo picco pre-crisi).

Allo stesso modo, i media nel Regno Unito sono ancora sotto lo scacco della Brexit, con l’aggiunta di avvertimenti occasionali di una recessione garantita e di un esodo degli investimenti. Naturalmente non c’è stata recessione, né esodo, né uscita, se è per questo. Il Regno Unito è ancora dentro l’UE e le negoziazioni, che dureranno almeno due anni e che vedono i due fronti intenti a mantenere rapporti commerciali, sono solo all’inizio. Eppure la posizione dei media sui dati prevalentemente positivi dal referendum in poi è stata a dir poco cauta. Le storie sul PIL del 1° trimestre si sono concentrate su una crescita dei servizi mediocre (rialzo soltanto dello 0,3% trimestre su trimestre) a riprova del fatto che la sterlina debole e l’inflazione in aumento stiano finalmente prosciugando i consumi, facendo forse presagire un calo. Come abbiamo scritto, l’inflazione e una sterlina più debole non sono veri elementi negativi per l’economia britannica (né sono interamente causati dal voto sulla Brexit), ma alimentano i timori odierni.

Analizziamo l’esperienza di Regno Unito ed Europa rispetto a quella statunitense: una dolorosa recessione seguita da otto anni di mercato toro che ha messo a tacere le abbondanti false preoccupazioni. Ovunque vediamo segnali di forza (seppur spesso non compresi o concentrati sul passato): la Fed sta “normalizzando” la politica monetaria, rialzando i tassi d’interesse e riflettendo ad una revisione del suo bilancio, e al momento l’economia è praticamente a piena occupazione[iii] e per questo molti investitori e commentatori promuovano l’espansione negli USA. Se l’eurozona sta solo adesso iniziando a scrollarsi di dosso la sua mentalità post-crisi, l’America lo ha già fatto anni fa.

Questo outlook divergente aumenta le possibilità di sovraperformance della zona euro nel 2017. I mercati si muovono sul divario tra realtà e aspettative e la realtà rosea e in miglioramento dell’Europa supera i timori prevalenti. 16 trimestri consecutivi di crescita del PIL sono parecchi! E sono anche generalizzati: Nel 2015 e in 8 trimestri del 2016, una media di 2 paesi membri dell’eurozona su 19 hanno registrato contrazioni.[iv] Questa crescita sostenuta ha colto molti alla sprovvista: L’indice “Europe Economic Surprise” di Citigroup, che mette a confronto le aspettative dei professionisti di settore con i dati economici, rispecchia i recenti picchi, mentre la versione statunitense è scesa in territorio negativo il mese scorso. Attenzione, però, i dati USA sono ancora ampiamente positivi, anche se le aspettative sono più alte. L’Eurozona ha un ostacolo più semplice da superare e con lo svanire dell’incertezza politica dopo le elezioni francesi (e indicatori forward-looking positivi), la regione sembra pronta a stupire ulteriormente, a vantaggio degli investitori con una esposizione globale.

[i] Fonte: FactSet, al 05/04/2017. La “recessione tecnica” si definisce come due contrazioni trimestrali consecutive.

[ii] Tra l’altro, questo è stato uno dei motivi della politica straordinaria di allentamento monetario della BoJ, per indebolire lo yen. L’obiettivo di quest’operazione era stimolare le esportazioni, cosa che a quanto pare ha dato il via ad un ciclo di crescita. Anche se il valore delle esportazioni ha subito uno slancio, la stessa cosa non è successa per le importazioni, che sono diventate più care. Dato che il Giappone importa la maggior parte del suo carburante, l'impatto su tutte le aziende è stato pesante ed ha annullato il vantaggio macroeconomico delle esportazioni.

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